Torino
è famosa per i suoi cioccolatini ed in particolare per i Gianduiotti.
A
fine Settecento a Torino si era creata una vera tradizione di cioccolatai che
producevano circa 350 chilogrammi di cioccolato al giorno. Il cacao veniva
importato dagli inglesi.
Il 21 novembre 1806 Napoleone Bonaparte
decretò il cosiddetto Blocco Continentale che vietava il commercio tra i Paesi
soggetti al governo francese e le navi britanniche. Il Piemonte fin dal 1798 e
fino al 1814 fu sottomesso alla dominazione napoleonica per cui, a causa di
questa decisione, il commercio del cacao, importato dalle colonie inglesi, subì
un notevole ridimensionamento mettendo seriamente in crisi il settore.
Da
quella che sembrava una catastrofe nacque invece il cioccolatino più famoso,
che fu anche il primo ad apparire sulla scena mondiale.
A
seguito di quello che oggi chiamiamo “embargo” il prezzo del cacao salì a cifre vertiginose; in Piemonte la richiesta
era elevatissima e urgeva una soluzione per far fronte al problema.
Torino
consumava il cioccolato da quasi 250
anni, cioè da quando Emanuele Filiberto di Savoia era tornato dalla pace di
Chateau Cambresis del 1559 con dei semi di cacao,
Fino
ad allora in tutto il mondo, il cioccolato veniva consumato esclusivamente come
bevanda liquida.
Un
imprenditore illuminato Paul Caffarel, di origine valdese, e proprietario di
una fabbrica nel quartiere di San Donato a Torino, perfezionò una macchina che
gli permise di creare il primo cioccolatino della storia.
Cioccolato
solido ottenuto con una miscela di cacao, acqua, zucchero e vaniglia.
Nel
1852 il figlio di Caffarel, Isidore, fuse la fabbrica con quella di un altro importante
imprenditore del settore dolciario, Michele Prochet. Nacque così la
Caffarel-Prochet.
Nel
1865 a fronte dell’embargo del cacao e
per rispondere alle richieste di cioccolato dei torinesi, decisero di sfruttare
la collaborazione con la vicina Alba, scommettendo sulla già famosa nocciola
Tonda Gentile delle Langhe.
Prochet
ebbe l’intuizione geniale di sostituire nell’impasto i pezzetti di nocciola,
facendola tostare e macinare, rendendola così simile ad una crema alla quale
venivano poi aggiunti il cacao e lo zucchero.
Unica
pecca: il risultato era un impasto molto denso che non poteva essere lavorato a stampo. Prochet decise allora di inventare un
particolare formato di cioccolatino, piccolo e piramidale, realizzato a mano e
confezionato dentro una carta stagnola dorata simile ad una barca rovesciata.
Lo
chiamò “Givò” che in dialetto piemontese significa “mozzicone di sigaro”.
A
quel punto bisognava far conoscere il prodotto ai torinesi e si penso di
pubblicizzarlo durante il Carnevale.
A
quei tempi il Carnevale di Torino era famoso in tutta Italia e le maschere
tipiche della tradizione erano solite lanciare dolciumi alla folla, Caffarel
usò così la maschera di Gianduja (Giovanni del boccale) per distribuire i suoi
Givò alla gente.
Gianduja
era ed è la maschera più conosciuta della tradizione piemontese e incarna lo stereotipo del galantuomo locale
allegro e godereccio ma anche
caritatevole.
La
maschera di Gianduja, in testa al corteo di carri allegorici, distribuì
cioccolatini a tutti. Sull’incarto era stampato il suo ritratto e così tutti
iniziarono a chiamarli Gianduiotti, nome con cui il prodotto divenne famoso.
L’altra
importante novità introdotta da Caffarel fu quella di distribuire i
cioccolatini in singoli incarti sui quali era raffigurata la celebre maschera
(licenza possibile solo all’azienda in quanto depositaria del marchio).
Oggi
i Gianduiotti sono conosciuti come
eccellenze italiane e sono prodotti in tutto il mondo dalla maggiori industrie
del cioccolato, come Peyrano, Novi, Fiorio , Pernigotti e la sola Caffarel ne
produce 40 milioni all’anno.
Tutto
questo grazie al Blocco di Napoleone e al genio di due imprenditori.
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