lunedì 10 febbraio 2020

Friciò piemontesi

I friciò sono delle frittelle che si preparano a Carnevale e la cui origine si perde nella notte dei tempi; molto simili alle castagnole (frittelle marchigiane), si differenziano da quest’ultime perché all’interno troviamo l’uvetta.
Semplicissime da realizzare, ottime da gustare.


LE IMMAGINI E I TESTI PUBBLICATI IN QUESTO SITO SONO DI PROPRIETA’ DELL’AUTORE E SONO PROTETTI DALLA LEGGE SUL DIRITTO D’AUTORE N. 633/1941 E SUCCESSIVE MODIFICHE. COPYRIGHT © 2010-2050. TUTTI I DIRITTI RISERVATI A PIEMONTE IN BOCCA DI MARIA ANTONIETTA GRASSI. VIETATA LA RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DI TESTI O FOTO, SENZA AUTORIZZAZIONE.


Ingredienti per 4 persone:

200 gr di farina 00
250 ml di latte
70 gr di uvetta sultanina
100 gr di zucchero
3 uova
1 bustina di lievito per dolci
1 limone bio
1 pizzico di sale
Zucchero a velo q.b.
Olio per friggere q.b.

Procedimento

Mettete a bagno l’uvetta per almeno 15 minuti.
Versate la farina in una ciotola e unite lentamente il latte, mescolando per evitare la formazione di grumi.
Aggiungete le uova, una alla volta, lo zucchero, la scorza grattugiata del limone (solo la parte gialla), un pizzico di sale, il lievito e l’uvetta scolata e ben strizzata.
Amalgamate bene e fate riposare la pastella per un’ora.
Trascorso il tempo   versate abbondante olio in una  padella  dai bordi alti e fate scaldare.
Quando avrà raggiunto la giusta temperatura (170°C -provate mettendo un pochino del composto, se gonfia la temperatura è ideale) prelevate  un pochino d’impasto con l’aiuto di un cucchiaio  (è piuttosto liquido quindi non potete fare diversamente)  e mettete a friggere una alla volta delle palline .
Quando saranno dorate e gonfie, prelevatele con una schiumarola e mettetele su della carta da cucina per far assorbire l’unto in eccesso.
Quando saranno fredde spolverizzate con abbondante zucchero a velo e servite.


mercoledì 5 febbraio 2020

Cinghiale al civet (sivé)

Nella cucina piemontese numerose sono le preparazioni al civet. La parola deriva da un  termine francese  che indica una preparazione a base di selvaggina da pelo (lepre, daino, capriolo, cinghiale ecc.) marinata  e cotta con vino rosso, aceto e ortaggi.
La definizione deriva da «cive», antico nome della cipolla, che rappresenta un ingrediente basilare sia per il soffritto sia per la marinata.
Il cinghiale è da sempre considerato una preda ambita per la sua carne e, fino al secolo scorso, è stato una fonte primaria di cibo per l’uomo, soppiantato in questo dal suo discendente domestico, il maiale.
Originario dell'Eurasia e del Nord Africa, nel corso dei millenni il cinghiale è stato a più riprese decimato e reintrodotto nel suo ambiente originario e in nuovi siti, dove, grazie alle sue doti d’adattamento e resistenza, vive allo stato brado e si è riprodotto e radicato talmente bene, da essere considerato una delle specie di mammiferi a più ampia diffusione.
Il cinghiale può raggiungere un peso di oltre 150 kg e una lunghezza di oltre 2 mt. Vive allo stato brado sia in montagna sia in pianura.
La sua carne è piuttosto magra, rispetto a quella del maiale, e ricca di proteine.


Ingredienti per 4 persone:


800 gr di polpa di cinghiale
1 carota
1 cipolla media
2 gambi di sedano
1 spicchio d’aglio
2 rametti di rosmarino
4 o 5 foglie di salvia
2 foglie di alloro
2 chiodi di garofano
1 cucchiaino di cannella
½ litro di  Barbera o di altro vino rosso purché corposo
½ bicchiere d’aceto di vino rosso
1 bicchiere d’ acqua calda
1 cucchiaino di conserva
Olio extra vergine d’oliva q.b.
Sale  grosso q.b.


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Procedimento

Mettete la carne in una ciotola e  unite  tutti gli ortaggi tagliati a rondelle, il rosmarino,la salvi, l’alloro,  l’aceto e il vino. Lasciate in infusione per 12 ore (una notte).
In una pentola scaldate 4 cucchiai d’olio e unite  la carne  scolata.
Fate rosolare a fuoco vivo per una decina di minuti quindi versate  la marinata con tutti gli ortaggi e  gli aromi.  Aggiungete i chiodi di garofano,la conserva , la cannella, il sale  ed il bicchiere d’acqua calda. Portate a bollore e fate cuocere a pentola coperta e a fuoco bassissimo per circa  due ore e mezza; eventualmente aggiungete altra acqua calda nel caso in cui si dovesse asciugare troppo.
Togliete la coscia dalla pentola e passare al passaverdura tutto il fondo di cottura.
Rimettete sia la carne che il fondo di cottura sul fuoco per 5 minuti e servite con la polenta.

Per la ricetta della polenta cliccate qui


Polenta concia


"Polenta, sempre polenta", così esclamano gli anziani di molti paesi, a ricordo dei tempi in cui il tradizionale piatto confezionato col mais, veniva consumato con poche varianti a colazione, pranzo e cena. L'immagine emblematica evocata da Beppe Fenoglio nella sua (e nostra) passata "Malora", della fetta di polenta strofinata sull'acciuga e appesa a un cordino al centro della tavola, diventò l'icona del mondo povero contadino. La sua produzione rappresentò per tante comunità un importante mezzo di sopravvivenza.
I testimoni però concordano tutti su una cosa: quella di una volta era diversa da oggi.
Quella dura, fatta con farina grossolana contenente ancora un po' di cruschello, si metteva nel latte a pezzi o a fette. Da polenta e latte emanavano i profumi agresti di vaccino, di formentone e di lisciva proveniente dal sacchetto di candida tela in cui era conservata la farina gialla dentro al farinajo o cassamadia, insieme ai sacchetti dei ceci e delle lenticchie.
I piatti più elaborati la volevano "concia" (sistemata in un tegame con formaggio, burro, funghi e passata in forno), oppure "acomoda" (unita bollente a burro, toma, cannella e noce moscata). Diffuso in tutto il pinerolese era il consumo della polenta con il vin cheuit, ossia un "vino" di mele. Posto in un recipiente, lo si faceva bollire per almeno 10-12 ore a fuoco lento. Bollendo, il succo tendeva a solidificare e, a cottura avvenuta, si gonfiava e diventava molto denso. In occasione dell'uccisione del maiale, era consuetudine accompagnare i budin (sanguinacci) e la Fricasà (frattaglie fritte) con polenta.
In Piemonte, grazie al "Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale dello Stato Sabaudo" (Casalis, 1838) è possibile risalire a tutti i comuni delle tre grandi aree in cui si concentrava il massimo della produzione: il Canavese, la bassa Val di Susa e la pianura compresa fra Torino e Pinerolo.
L'abbandono delle montagne e il declino del mondo rurale sono un altro fattore che ha portato alla diffusione della monocoltura di poche varietà, destinate quasi in via esclusiva all'alimentazione animale, per il consumo di carni e la produzione di latte.
Per fortuna però, rispondendo ad una rinata attenzione per il cibo buono e locale, grazie a singoli contadini, mugnai, associazioni, gruppi d'acquisto, piccoli comuni, la selezione-produzione-riproduzione di alcuni di questi mais è stata ripresa. In provincia di Torino se ne contano a tutt'oggi sette, ben distinguibili: il Pignoletto giallo e rosso del Canavese, l'Ostenga bianco del Canavese, il Nostrano dell'Isola, l'Ottofile bianco, giallo e rosso dell'Albese. Le sette varietà, iscritte al Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione della Regione Piemonte, sono molto diverse l'una dall'altra, ognuna adatta ad un uso specifico.
Tratto da  - Piemonte parchi  
Autore: Loredana Matonti 



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Ingredienti per 4 persone:

500 gr di farina di mais bramata
2 lt di acqua
1 cucchiaio di sale
80 gr di burro
1 etto di Fontina 
1 etto di Toma del Maccagno                                                                                   
1 etto di Parmigiano  Reggiano grattugiato

Procedimento

Ponete sul fuoco una pentola con l'acqua e il sale e quando sta per prendere il bollore gettate a pioggia la farina di mais rimestando sempre nello stesso verso per non fare grumi.
Cuocete per circa 30 minuti poi aggiungere il burro, la Fontina  e la Toma a pezzi  e il Parmigiano Reggiano.
Continuate la cottura, sempre rimestando, ancora per una decina di minuti fino a quando tutti i formaggi saranno sciolti.
Versate la polenta su di un tagliere e servite.
Servitela con i contorni che preferite, carne, pesce, formaggi ecc.



domenica 2 febbraio 2020

Zuppa di cavolo e pancetta- Supa d' coj


Ricetta tipica del Canavesano che veniva preparata per consuetudine alla festività dei Santi il 1 novembre.

I primi dati riguardanti la produzione e le caratteristiche del Cavolo Verza di Montalto Dora si trovano in uno studio di C. Chiej-Gamacchio, Coltivazioni industriali e di gran reddito della Provincia di Torino, Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, Piacenza 1928. Sino ai primi anni ’50, ma soprattutto prima della seconda guerra mondiale, l’economia prevalentemente agricola di Montalto Dora viveva in larga misura sulla produzione del cavolo verza. Da novembre a febbraio, oltre 400 quintali alla settimana, affluivano sui mercati di Ivrea, Biella e Borgo d’Ale. Commercianti di ortofrutticoli arrivavano anche dalla Lombardia per acquistare e spesso esportare in Svizzera questo ortaggio cosi prezioso. In seguito, il crescente sviluppo dell’industria, con il progressivo assorbimento della manodopera giovanile canavesana, contribuì, insieme a problemi di mercato, al quasi abbandono di questa coltivazione. In questi ultimi anni, si è iniziato un percorso di valorizzazione e rilancio di questa coltivazione tipica e di qualità, attraverso manifestazioni, come la Sagra del Cavolo Verza, che si svolge ogni anno nella quarta domenica di novembre a Montaldo Dora.



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Ingredienti per 4 persone:

1 piccolo cavolo verza di Montaldo Dora (circa 1 kg)
100 gr di pancetta a cubetti
1 lt. di brodo di carne salato caldo
Un noce di burro
150 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
9 o 10 fettine di pane
50 gr di lardo
2 spicchi d’aglio

Procedimento.

Pulite la verza eliminando le foglie esterne e il torsolo, tagliatela grossolanamente a listarelle, lavatela e sgrondatela.
Tritate insieme l’aglio e il lardo e metteteli in una teglia, meglio se di coccio, unitamente ai cubetti di pancetta e fate soffriggere dolcemente. Aggiungete la verza e lasciatela stufare per circa dieci minuti. Unite il brodo caldo e lasciate cuocere per almeno un’ora e mezza.
Nel frattempo sciogliete il burro in un padellino e fate dorare le fette di pane fino a farle diventare croccanti.
Distribuite due o tre fette sul fondo di una pirofila da forno (o in singole pirottine) poi irroratele con la zuppa di cavolo e cospargete di Parmigiano Reggiano.


Proseguite così fino ad esaurire tutti gli ingredienti e ultimate con abbondante formaggio. Passate in forno caldo (180/190°C) per mezz’ora e servite subito.
Accompagnate con un buon bicchiere di Barbera.