venerdì 21 aprile 2017

Acciughe al verde - Anciove al verd

Ci fu un tempo, ormai ignoto ai più e da molti dimenticato, in cui gli abitanti delle valli alpine, nella brutta stagione, erano costretti ad abbandonare la loro casa per andare a cercare una fonte di guadagno altrove. Era un’emigrazione che sovente non puntava ad aumentare le ricchezze della famiglia, ma semplicemente a non gravare sul consumo delle magre risorse disponibili. Si partiva ancora bambini e ognuno s’ingegnava a trovare un lavoro, magari un mestiere peculiare; alcuni si affidavano alla forza fisica, altri all’ingegno e all’intraprendenza.
Gli acciugai (anchoiers in occitano, anciuè in piemontese, anciuat in lombardo) della Valle Maira …, a fine estate, terminati i lavori nei campi, scendevano al piano per vendere acciughe e pesce conservato. La merce da vendere la compravano in Liguria: non lavoravano il pesce, lo vendevano soltanto, girovagando in tutto il Piemonte, in Lombardia e persino in Veneto ed Emilia...
Sull’origine del fenomeno sono molte le ipotesi, destinate peraltro a rimanere tali. Le diverse notizie sul commercio delle acciughe e del pesce conservato sotto sale già in tempi remoti non danno risposta del come e del perché si partisse proprio dalla Valle Maira. Ci si deve accontentare di supposizioni, alcune apparentemente più realistiche e probabili, altre forse più fantasiose, ma ugualmente possibili. I più ritengono che tutto abbia avuto origine dal commercio del sale, sul quale gravavano alti dazi: qualche furbacchione pensò di riempire in parte una botte di sale ponendovi sopra, per occultarlo agli occhi dei gabellieri, uno strato di acciughe salate. Allo scoprire poi che la vendita di quelle acciughe procurava ugualmente un buon guadagno, si dedicò al nuovo commercio meno rischioso...
Da quel che si sa dai racconti dei vecchi, di solito partiva prima un capofamiglia, uno già esperto, che andava nei porti della Liguria a comprare la merce per poi portarla o spedirla in qualche città della pianura padana. Gli altri della famiglia, parenti o amici fidati, lo raggiungevano in quello che diveniva il loro campo base, punto di smistamento. Portavano con loro i caratteristici carretti, i caruss, leggeri ma resistenti, costruiti tutti in valle, a Tetti di Dronero, per lo più colorati d’azzurro.
Durante i mesi invernali, in attesa di tornare al lavoro dei campi, giravano di quartiere in quartiere, di paese in paese, di cascina in cascina, per strade inghiaiate o innevate, nelle piatte campagne o nelle valli alpine, sempre tirando o spingendo il loro caruss carico di pesce salato, alla ricerca di qualche acquirente. Anche trenta e più chilometri al giorno; e non sempre a sera si poteva tornare al magazzino con gli altri, si dormiva dove si trovava, magari offrendo in cambio qualche acciuga. Anche per i pasti ci si aggiustava, al risparmio, sovente buttando giù qualche acciuga sbattuta contro le aste del carretto per far cadere il sale. Un po’ per la sete dovuta a tutto quel sale e un po’ perché i migliori clienti erano gli osti, il vino inevitabilmente abbondava, creando spesso non pochi problemi. Molti cominciavano da ragazzi, già verso i dodici anni: si cercava così di non essere di peso per la famiglia, ma non sempre per tutti il guadagno finiva col coprire le spese.
Per alcuni fu l’inizio di una fortuna: più intraprendenti, scaltri o fortunati, ebbero modo di dar vita a dei veri imperi economici con numerosi dipendenti e aziende tutte loro di lavorazione del pesce, addirittura in Spagna.
Nel secondo dopoguerra, la maggior parte abbandonò definitivamente il paese d’origine, e scese in pianura per dedicarsi esclusivamente al commercio. Non più il carretto, ma mezzi a motore, via via più comodi e attrezzati. Ancora oggi è possibile trovare qualche acciugaio originario della Valle Maira tra i banchi del mercato, ma sono sempre meno. Era ed è un lavoro duro, così pochi figli hanno continuato il mestiere dei padri: grazie al benessere economico raggiunto hanno preferito dedicarsi a impieghi che prevedono la cravatta. Molti di quelli che non hanno abbandonato la via percorsa da generazioni sono ora titolari di supermercati o luccicanti negozi...
Un umile pesce, una valle alpina, tanti uomini tenaci: una storia che non deve essere dimenticata.

tratto dal libro "L'Acciuga nel Piatto"
Diego Crestani - Roberto Beltramo
casa editrice I Libri della Bussola





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Ingredienti:

3 etti di acciughe sotto sale
2 etti di prezzemolo
1 spicchio d’aglio
Mezzo bicchiere di olio extravergine d’oliva
40 gr di pane raffermo
Aceto di vino bianco q.b.

Procedimento
Dissalate le acciughe sotto l’acqua corrente,  apritele delicatamente in due e togliete la lisca. In un piatto fondo mettete dell’aceto bianco e immergete le acciughe per qualche secondo. Scolatele e asciugatele bene con carta da cucina.
Lavate il prezzemolo e sgrondatelo bene con la centrifuga dell’insalata. Bagnate   il pane nell’aceto.
Staccate le foglie e tritatele  con l’aglio e la mollica di pane leggermente strizzata. ( la tradizione prevede che siano tritate con la mezzaluna ma se usate il mixer non frullate troppo, non deve diventare una salsa informe ma devono vedersi i pezzettini di prezzemolo come nella foto).
Aggiungete tanto olio quanto basta a rendere la salsa fluida ma non troppo,  e peperoncino a piacere . Amalgamate bene  tutto.
Sul fondo di una terrina distribuite un po’ di bagnetto verde, stendete parte delle acciughe e ricoprite con altro bagnetto. Continuate così fino ad ultimare gli ingredienti, chiudete ermeticamente , mettete in frigorifero e lasciate riposare una giornata. Si conservano per parecchi giorni.
Potete servirle così come antipasto o su dei crostini o prepararvi un superbo panino. 
Buon appetito!



In un’altra versione non viene aggiunto il peperoncino.  Decidete voi quale preferire.



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